Il “te amo Irina” di Batistuta ultima gioia italiana per Claudio Ranieri e più che sufficiente affinché il volto del “Maestro” Tabarez assumesse un’espressione da Santiago Nasar: cronaca di una morte annunciata. Per lui – dimessosi poi a dicembre – e per il Milan, che ammarò all’undicesimo posto. Non sarà l’unico caso di Supercoppa y malasuerte.
Nel ’98, il destro di Sergio Conceiçao al novantaquattresimo quale primo rintocco del Campanone laziale e contemporanea sirena di allarme per la Juventus; in particolare per Marcello Lippi, che a febbraio se ne andrà con la consueta eleganza (“Se il problema di questa squadra sono io, è meglio che mi faccia da parte”). Reciterà lo stesso copione due anni più tardi, stavolta sulla panchina dell’Inter.
Detonatore sempre la Lazio di Eriksson, autrice di un 4-3 nel segno del Piojo Claudio Lopez. Per l’Inter, le uova e i fischi dei suoi tifosi dopo lo 0-2 con l’Alaves in coppa Uefa o lo 0-6 nel derby. Juve, Inter, ma anche Milan. È il 1999, dall’altra parte il Parma.
Al novantaduesimo, il colpo di testa di Boghossian, complice uscita cialtrona di Seba Rossi, stappò l’esultanza irrefrenabile del milanista credente, ma non praticante (almeno quella sera) Malesani, e indicizzò l’avvenire dei rossoneri di Zaccheroni, eliminati a novembre dalla Champions con due gol fra l’ottantasettesimo e il novantesimo e fuori dalla bagarre per lo scudetto con la primavera ancora in gemmazione.
Sventure, guai, maledizioni. Attenzione però a non rimanerne suggestionati, non fu sempre così. Specialmente l’incipit, che narra la Supercoppa Italiana vedere la luce con un parto gemellare tanto insolito quanto eccezionale. Programmata per il 1988, la prima edizione saltò per la concomitanza con i Giochi Olimpici di Seul e fu recuperata il 14 giugno 1989.
Milan-Sampdoria, primo tempo con i rossoneri in debito d’ossigeno, a inizio ripresa Sacchi toglie Lantignotti, riporta Evani a centrocampo e affianca Lupetto Mannari a Van Basten. L’attaccante toscano siglò il gol del sorpasso e si procurò il rigore del definitivo 3-1. È stata la prima e unica Supercoppa della Guerra Fredda perché la “gemella” verrà al mondo dopo la caduta del Muro di Berlino.
29 novembre 1989, dalla nebbia meneghina l’Inter del Trap sbuca per due volte con Cucchi e Morello, facendo perdere le tracce della Samp di Vialli&Mancini. Per la cronaca, sarà la stessa Samp che qualche mese più tardi farà sua la coppa delle Coppe. Mentre Mannari sarà ceduto al Como in prestito, comincerà a essere bersagliato dagli infortuni e finirà nell’oblio.
Diffidare sempre delle prime impressioni… Dal “2 in 1” al “due di due”, dal formato offerta del supermercato a rimandi letterari. Dove però Fenoglio prevale su De Caro, perché la Supercoppa diviene una questione privata fra Milan e Juventus. I rossoneri si aggiudicano tre edizioni consecutive in piena Tangentopoli (tra il ’92 al ’94 finiscono alla sbarra Parma, Torino – verdetto emanato al “R. F. Kennedy” di Washington – e Sampdoria, i bianconeri sui ponteggi della Seconda Repubblica (’95, in realtà giocata nel ’96, 1-0 al Parma; ’97, 3-0 al Vicenza).
Cose nostre fra mister B. e “Lucky” Luciano Moggi, che si spartiranno il bottino anche all’alba del nuovo millennio. Nella sabbia di Tripoli, davanti il compiaciuto Gheddafi jr. quale diretta espressione di uno degli sponsor della società, la doppietta di Del Piero slalom fra il pareggio del Parma con Di Vaio, che pochi giorni dopo sarà acquistato proprio dalla Triade.
Due anni dopo, invece, la coppa si ferma a Milanello dopo il 3-0 a una Lazio ancora sommersa dalle macerie economiche dell’era Cragnotti al punto che per poco non acquistò le divise per la partita a Porta Portese… Nel mezzo, i “padrini” si fronteggiarono nel New Jersey, al “Giants Stadium”; prevalse la Juventus ai rigori, poco più di un bignè per addolcire a distanza di qualche mese l’amarezza della finale di Manchester. “Continuiamo così, facciamoci del male”.
Nel 2008, contro l’Inter, Totti fallì in modo coatto il quinto rigore che, se segnato, avrebbe spedito il trofeo a Trigoria. Lo imiterà Tonetto negli ottavi di Champions League, raggio verde del quadriennio giallorosso di Spalletti: l’annata tramonterà con l’1-4 dalla Juve e il 2-4 nel derby, seguiranno le dimissioni del 1. settembre 2009.
La messa è finita. Per altri, come Gian Piero Gasperini, non è mai cominciata. Un anno fa subì la rimonta del Milan, le telecamere lo inquadrarono al triplice fischio, aveva la faccia di chi aveva visto Genova e però si chiedeva come mai non vi fosse rimasto anche come semplice abitante. Fata Morgana.
L’8 agosto 2009, il “Nido d’uccello” di Pechino si trasforma nel regno dell’aquila. Gli attacchi della plurimilionaria Inter rimbalzano contro il muro di gomma di una Lazio casereccia, ma rapace nell’afferrare la sua terza Supercoppa con un rimpallo di Matuzalem e un pallonetto di Rocchi. Biancocelesti unici a sconfiggere i nerazzurri nell’anno del triplete, quel sabato lo “Special” non è José Mourinho, ma Davide Ballardini da Ravenna, forse davvero convinto di sostenere un campionato con Baronio regista.
Lotito non gli sfoltirà un organico di trentaquattro giocatori, lui andrà nel pallone cambiando modulo anche nella disposizione delle camere durante il ritiro prepartita e a febbraio 2010 sarà esonerato. Tante illusioni, qualche certezza. Luci a san Siro nel 2006, quando l’Inter – detentrice perché l’anno precedente aveva superato la Juventus con gol di Veron nei supplementari – rimontò tre gol a una Roma più capocciona che capoccia, firmando il sorpasso nuovamente nell’extra-time con una punizione di Figo.
Prove di apoteosi per la formazione di Mancini, che vincerà lo scudetto con cinque giornate d’anticipo e il record di punti (97) nei tornei a venti squadre. “Quanto sei bella Roma”. Più che una rivincita, un capolavoro. Di gioco.
Il 19 agosto 2007 De Rossi pennellò il rigore dell’1-0, la squadra offrì una performance di organizzazione collettiva efficiente e spettacolare, esibita anche nei mesi successivi attraverso la conquista del “Bernabeu” in Champions League, la vittoria della coppa Italia e dall’essere giunti a mezz’ora dallo scudetto con Brighi e Giuly alternative principali ai titolari mentre l’Inter, nel frattempo, si permetteva di lasciare in panchina Cambiasso, Figo, Cruz e Crespo.
Una competizione dunque aperitivo per una stagione frizzante. L’importante è non esagerare con le bollicine, pensiero certo non condiviso da Gigi Maifredi, rappresentante di champagne prima che allenatore. Nel ’90 tentò di applicare la filosofia Moët&Chandon alla Juventus, ma i giocatori erano poco abituati e la sbornia fu colossale: 1-5 in casa del Napoli di Maradona.
Addirittura ancor più drammatici i postumi: a maggio, nessun trofeo e bianconeri fuori dalle coppe europee dopo ventotto anni. Ieri si è consumata la rivincita, ma si auspicava uno spettacolo dallo spirito decisamente più olimpico, che avrebbe omaggiato a dovere venticinque anni di storia.
Un traguardo che rimane comunque meritevole del brindisi: cin-cin, Supercoppa Italiana.
di Tommaso Nelli
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