I possibili effetti della riforma Fornero
Alla fine anche l’articolo 18 è stato di fatto cancellato. La riforma del lavoro della Ministra del Lavoro Elsa Fornero è passata in Parlamento e ha abbattuto una delle poche tutele che i lavoratori ancora mantenevano.
Non va dimenticato -per comprendere appieno il significato di ciò che sta accadendo- che in passato ci sono voluti decenni e decenni di lotte, anche durissime, per riuscire a ottenere certi diritti, tra i quali quello di non essere licenziati senza una giusta causa. Ora questo diritto è perduto.
Uno dei paradossi della faccenda è che in Italia la libertà di licenziamento, anche senza giusta causa, già esisteva.
Da oggi qualunque persona che lavora senza un contratto a tempo indeterminato è licenziabile come e quando il datore di lavoro vuole: basta semplicemente non rinnovare il contratto o la collaborazione.
A dire il vero, persino i lavoratori con contratto a tempo indeterminato sono stati spesso licenziati, soprattutto negli ultimi anni.Ciò capita, frequentemente, se l’azienda è in crisi economica. E l’elevato numero di esodati (ultracinquantenni espulsi dal lavoro e che non possono andare in pensione, dato l’innalzamento dell’età pensionabile) lo dimostra.
Grazie a questa riforma le aziende private e gli enti pubblici potranno licenziare più facilmente e si allarga ulteriormente il precariato, con la generalizzazione del contratto di apprendistato, che non prevede l’obbligo dell’assunzione.
Come se ciò non bastasse, c’è un ulteriore taglio agli ammortizzatori sociali. La riforma rischia di diventare un’arma di ricatto nei confronti del lavoratore.
E’ noto che chi corre il rischio di perdere il posto di lavoro tende a partecipare meno a qualsiasi iniziativa di lotta e sindacale. Contrariamente a quanto molti pensano, è difficile ipotizzare in tal senso un miglioramento delle prestazioni lavorative. L’esperienza insegna che i lavoratori precari non lavorano meglio di quelli tutelati, anzi il contrario.
Senza garanzie non vi sono prospettive e si va incontro a una futura destabilizzazione. Secondo la prospettiva del governo, la riforma Fornero dovrebbe servire a rilanciare la produzione e di conseguenza l’occupazione.
Un buon banco di prova potrebbe essere l’osservazione delle numerosissime aziende medio-piccole, laddove la maggior parte dei lavoratori -se non tutti- opera in condizioni di facile licenziabilità: stanno chiudendo a decine di migliaia; e quelle che non chiudono, si barcamenano.
La Riforma Fornero asseconda di fatto quell’istinto non molto nobile di utilizzare il licenziamento non appena l’azienda va incontro a un periodo difficile. Sembra piuttosto evidente che tale politica porterà inevitabilmente a un ulteriore aggravamento della crisi, a meno che non intervengano altre circostanze che per ora non si intravedono.
Uno dei più grandi economisti del nostro tempo, John Maynard Keynes, descrisse abbondantemente tale meccanismo;e disse che per ovviare a ciò, lo Stato -mai difficile che possa farlo il privato- dovrebbe intervenire aumentando la spesa creando posti di lavoro, anche inutili (“Scavare buche per poi riempirle”).Così facendo si rimetterebbero in moto i consumi e quindi l’economia.
Questa filosofia appare come l’esatto opposto di ciò che si sta facendo oggi, non solo in Italia, ma in tutta Europa (e ovviamente negli Usa).
L’ideologia liberista -oggi dominante in tutto l’Occidente- lascia il cosiddetto “libero mercato” (inteso come mercato finanziario, spesso del tutto estraneo alla realtà economico-produttiva) ai propri “istinti”.Il pericolo che si adombra è la fin troppa facilità di licenziare aggravando una situazione di per sé già precaria.
Questo potrebbe essere un punto di non ritorno: con questa riforma o si esce dalla crisi attirando di fatto molte aziende, oppure si finisce nel baratro. Per ora è la seconda ipotesi a essere tristemente all’orizzonte.
di David Insaidi