(foto fonte web)
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Dopo un europeo sopra le aspettative la finale spegne i sogni azzurri. Ma era proprio così imprevedibile?

Prima di Italia-Germania si erano palesati dubbi sul modulo e sull’interpretazione della partita con i tedeschi. Prandelli e l’Italia avevano smentito anche i catenacciari più convinti ma, come si suol dire, se si nasce tondi non si muore quadrati.

Errori iniziali. Per analizzare la sonora sconfitta con la Spagna, la più larga di sempre per l’Italia nella fase finale di un torneo per nazioni, bisogna partire da lontano. Innanzitutto dalla formazione iniziale: Prandelli ha ammesso di aver dato troppa fiducia a chi l’aveva portato fin lì (chiaro riferimento a Chiellini) quando dal punto di vista tecnico-tattico avrebbe dovuto, e probabilmente voluto, fare qualche cambio.

Ecco che quindi emerge uno dei pochi limiti di un allenatore preparatissimo dal punto di vista tattico ma senza quel mordente e quel carattere necessario ad allenare un gruppo che si incontra solo poche volte l’anno. La sfortuna (vedi T. Motta) e i cambi non proprio azzeccati non hanno aiutato, ma ridurre i quattro gol subiti ad errori di formazione appare quantomeno ingiusto.

L’atteggiamento. Totalmente sbagliato. Siamo andati a fare la guerra alla Spagna sul suo terreno favorito, il possesso palla. È stato come affrontare i fenici in mare aperto.

Prandelli in questo caso ha dimostrato coerenza non venendo meno ai suoi dogmi ma un cambio di gioco sarebbe stato necessario in virtù dell’avversario, la nazionale più forte di sempre. Se i “campioni di tutto” affrontano gli azzurri marcando Pirlo a uomo, come può permettersi l’Italia di non prevedere un’attenzione speciale per uomini del calibro di Xavi e Iniesta?

Le pur scintillanti vittorie con Inghilterra e Germania hanno fatto dimenticare all’Italia la sua storia, la sua forma: è nata tonda e tonda morirà. Dopo la vittoria con la Germania, nella partita del secolo, in finale prendemmo quattro gol dal Brasile; quando Sacchi cercò di portare il suo calcio innovativo in nazionale di nuovo ci fermammo a un passo dal sollevare la coppa.

Nel 2006 invece il gruppo di Lippi vinse un Mondiale insperato non subendo nemmeno un gol su azione; i capocannonieri furono Toni e Materazzi, con due reti.

Questo perché la forza degli azzurri è sempre stata nella difesa e nel gruppo, due aspetti sui quali Prandelli dovrebbe puntare di più.

di Nicola Guarneri