È la mattina del 12 marzo 2012 e sono circa le 10.00 quando alcuni agenti della Polizia di Stato di Potenza, in servizio presso la caserma Zaccagnino, insospettiti dall’assenza ingiustificata della collega, la dott.ssa Anna Esposito primo dirigente dalla Digos locale, si recano presso gli alloggi assegnati a quest’ultima con l’intento di saperne di più. Potrebbe trattarsi di una qualsivoglia casualità di una mattina come tante, e invece ecco la macabra scoperta.
Dopo aver tentato inutilmente di forzare la porta con un cacciavite (la porta risultava chiusa senza alcun tipo di mandata della serratura) gli agenti restano impietriti dinnanzi il corpo della dott.ssa Esposito che “giace quasi supina” con il collo legato a una cinghia di cuoio ben stretta intorno alla maniglia della porta del bagno attigua alla camera da letto.
Invano il tentativo di rianimarla: appare subito tristemente ovvio il decesso. A una prima analisi della scena del crimine il suicidio risulta essere la prima spiegazione naturale; successivamente l’autopsia sentenzierà che la causa della morte andrebbe ricercata in un’asfissia acuta, che si istaura per occlusione delle vie aeree e circolatorie.
Le risultanze medico-legali fanno risalire la morte intorno alle ore 23.00 dell’11 marzo 2012. L’occhio attento degli addetti ai lavori cade immediatamente sulla particolare modalità con la quale si è realizzato il presunto atto suicidiario.
In medicina legale viene definito “impiccamento atipico” in quanto il nodo è posizionato anteriormente sul lato destro, a differenza dell’“impiccamento tipico” laddove il nodo si chiude posteriormente. Inoltre il corpo non risulta totalmente sospeso bensì in posizione semiseduta e gli arti inferiori poggiati al suolo.
Per la casistica medico-legale, modalità di questo tipo sono catalogate come indicative di una volontà suicidiaria. Alcuni elementi di questa storia potrebbero però far vacillare la celere catalogazione.
Chi ha visto e descritto la cinghia con la quale è stato compiuto il gesto, ha messo in risalto l’assenza di alcun segno di norma presente sulla pelle dopo un arco di tempo di circa dieci ore, avendo sostenuto l’intero peso del corpo. Si tratta di un dato importante perché indicativo di omicidio.
Ma quale sarebbe stato il possibile movente? Ebbene, a infittire il mistero giunge l’intreccio con un altro caso di cronaca recente: alcune indiscrezioni ritengono la dott.ssa Esposito detentrice di un’importante verità circa il luogo nel quale era stato nascosto il corpo di Elisa Claps.
Ma i tanti lati oscuri della vicenda sembrano non avere fine. Il magistrato è avvisato più di quaranta minuti dopo il ritrovamento del corpo senza vita; si legge in alcuni documenti dell’inchiesta che l’abitazione, come anche l’ufficio, “era già stata rovistata da una serie di persone presenti, le quali avevano anche provveduto a raccogliere elementi di prova”.
Il magistrato, dopo aver identificato i presenti, avrebbe dovuto quantomeno condurre un’indagine interna su questo primo dubbio modus operandi, ma annoterà successivamente “solo” l’inquinamento della scena del crimine specificando inoltre la buona fede delle intenzioni.
Da segnalare anche le presunte minacce ai danni della vittima mediante l’apposizione di alcuni bigliettini sulla scrivania in Questura caratterizzati, a quanto si dice, da una chiara grafia femminile. Chi ha messo a soqquadro l’ufficio del commissario Esposito cercava forse quei biglietti?
Certo è che gli elementi analizzati, alla luce anche delle pagine strappate dall’organizer ritrovato nelle vicinanze del corpo (all’interno del quale è possibile ritrovare molti appunti personali di natura personale – sentimentale) non rendono trasparente e chiara una vicenda avvolta da un velo di mistero e condita da palesi incongruenze.
Accanto al corpo, il magistrato rinverrà e farà repertare una penna (nessuno dei poliziotti giunti sul posto dichiara di averne persa una) ma nessun foglio di carta. Il dettaglio si aggiunge agli altri fatti poco chiari.
Quantomeno sembra strano che una donna abituata a tenere una sorta di diario giornaliero, dalla grande sensibilità e con grande attaccamento per le figlie, possa aver compiuto un simile gesto senza lasciare nessun tipo di messaggio di addio. E’ possibile che il messaggio sia stato realmente scritto ma per il suo contenuto compromettente sia magicamente sparito? Cosa nascondeva allora e a chi era rivolto?
Ad oggi l’unica notizia certa è la tempestiva archiviazione dell’inchiesta come caso di suicidio ma i dubbi restano. Seguiremo ancora questa torbida vicenda nell’attesa di risvolti utili alle indagini.
di Alberto Bonomo