(foto fonte web)
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Dopo che l’Unione Europea (o meglio la Banca Centrale Europea) l’autunno scorso di fatto ha proibito al popolo greco di esprimersi sull’Euro attraverso un referendum proposto dall’allora premier Papandreou, è ora la Germania che (visti i risultati del voto ellenico che dicono “si” all’euro) si affretta a “minacciare” la Grecia in caso di uscita dalla moneta unica.

Per giunta, lo fa dapprima con un atteggiamento arrogante e sprezzante (“L’Euro può fare a meno della Grecia”) e poi spendendosi affinché resti, annunciando di fatto finanziamenti per alleggerire la crisi.

In realtà attuare il piano-Merkel non è così semplice. La banche stanno dando vita una speculazione immensa sui debiti sovrani degli Stati (Italia compresa ovviamente) e l’uscita della nazione ellenica dall’Euro non può infatti lasciare indifferenti. Specie se poi questo fatto andrà a costituire un precedente per altri Paesi.

Nonostante i risultati pro-Euro dell’ultima elezione, se l’uscita dalla moneta unica dovesse rivelarsi alla fine vantaggiosa per i greci, sarà facile che altri Paesi la seguiranno.

L’Europa chiede ad Atene di “rispettare gli impegni”. La richiesta lascia perplessi, specie se rivolta a un Paese che negli ultimi due anni ha subito ben quattro manovre “lacrime e sangue” (lasciando sul lastrico decine, se non centinaia di migliaia, di famiglie e incrementando la già elevatissima disoccupazione nonché la povertà generale).

In teoria sarebbe dovuta bastare la prima a risolvere il problema del debito pubblico. Ora si dice che però l’Italia non è la Grecia e che la nostra economia è molto più forte e solida.

Si tratta di parole senz’altro consolanti, quantomeno rispetto a un Paese come quello ellenico che si regge (quasi) solo sul turismo.

In realtà, in Italia esiste da decenni un tessuto produttivo anche relativamente buono nella siderurgia, nell’elettrodomestica, nel settore dell’auto, delle costruzioni navali, nell’ aeronautica, nel tessile, nelle telecomunicazioni e perfino nella tecnologia informatica avanzata.

In tutta evidenza, il “bel Paese” ha un ruolo importante anche a livello internazionale o almeno questo è quanto si pensava fino a ieri.

Tra gli anni ’90 e i primi 2000 abbiamo avuto in Italia un’ondata di privatizzazioni da far paura (in Germania no, e anche questo spiega tante cose). Quest’ondata ha devastato gran parte del tessuto produttivo (una su tutte: l’Alitalia, a suo tempo privatizzata, ora è in mano all’Air France).

Con le privatizzazioni alcuni cosiddetti “imprenditori” si sono personalmente arricchiti mandando in rovina l’azienda che lo Stato gli aveva praticamente regalato. Il risultato delle privatizzazioni è stato un forte ridimensionamento del tessuto produttivo ridimensionato italiano, pur confermandosi più robusto di quello greco.

Ma c’è un piccolo problema: anche il nostro debito pubblico è molto più robusto di quello ellenico. Mario Monti dice che l’Italia si sta rimettendo nei giusti binari per far rinascere l’economia. In verità non è molto saggio chiedere al negoziante un parere sui propri prodotti.

Le manovre “lacrime e sangue”, con le quali si dovrebbe tenere a bada il debito pubblico, non fanno che impoverire la gran massa dei ceti popolari. Così facendo è impossibile che l’economia possa riprendersi (tranne i settori di lusso, dato che i ricchi hanno subito manovre solo relativamente pesanti).

Il conseguente impoverimento e l’aumento della disoccupazione/precariato non fa che ridurre le entrate fiscali. Tuttò ciò fa si che i conti statali ritornino in deficit. Ma così facendo si ripropone la necessità di un’ulteriore manovra “lacrime e sangue”. Il risultato finale è l’Argentina di dieci anni fa: Un deja vu.

E anche sul terreno delle esportazioni l’Italia ha perduto quota negli ultimi anni e continua a perderla. D’altronde a livello internazionale l’unico modo per essere competitivi è investire sulla ricerca e sull’innovazione. In Italiaè stato fatto l’esatto opposto.

La stessa insistenza a voler cancellare l’art. 18 la dice lunga sul fatto che anche questo governo, come quello precedente, sta puntando soltanto ad abbassare (ulteriormente) il costo del lavoro per diventare come quei Paesi del Terzo Mondo che attirano investimenti stranieri grazie ad una forza-lavoro a basso prezzo e senza tutele sindacali.

Alla luce dell’elezione appena conclusasi, la Grecia pare abbia deciso di restare nell’euro ma ciò non basterà certo a risollevare la nostra economia. Non esistono soluzioni semplici e si badi bene a non cadere in facili demagogie in questo campo. Infatti, a scanso di equivoci, l’uscita dell’Italia dall’euro potrebbe non essere la strada migliore.

L’alternativa più utile sarebbe una completa riforma delle istituzioni europee e delle sue politiche economiche (che ora non esistono): occorrerebbero politiche fiscali, economiche e sociali il più possibile unificate ma soprattutto un finanziamento diretto degli Stati, purché non sia tramite le banche e le loro incredibili speculazioni che stanno affamando interi popoli.

di David Insaidi